Il bello, il brutto, il cattivo


Buenos Aires è il caos.

La città corre, va di fretta, non si ferma, i clacson squillano non appena un guidatore sbadato non parte al verde. Al mattino il profumo delle medialunas mi fa salire l'acquolina in bocca e all'angolo dopo il tanfo di urina è così forte da farmi storcere il naso. Le tipiche caffetterie si affacciano timide un po' ovunque all'ombra di colossal come Starbucks. Ma parliamoci chiaro, chi può permettersi un caffè da 70 pesos in Argentina?

Uomini in giacca e cravatta mi sfrecciano accanto mentre i senzatetto smaltiscono sbronze agli angoli della strada. Nella metro mi abbarbico alla mia borsa come l'edera su di un muro. Per la strada faccio in modo di guardare il telefono il meno possibile, ho paura che qualcuno lo afferri e se lo porti via. Al principio quest'ultimo punto suscitava in me dello scetticismo, fino a che non è successo ad un'amica, la settimana passata.

In un bar l'uomo accanto a me mi intima di tenermi il telefono, poggiato sul bancone, più vicino; un ragazzino che chiedeva l'elemosina lo ha adocchiato più di una volta, mi dice.
E' stancante Buenos Aires, difficile abbassare la guardia. I miei amici argentini ridono e mi prendono bonariamente in giro: "voi europei, non siete proprio abituati".

La città ti risucchia così a fondo nel suo vortice che alla sera ti ritrovi semplicemente esausto.
Poi ci sono notti in cui, tornando a casa, la città pare vuota, disabitata quasi. Le strade, sgombre da auto e bus, mi paiono immense e mentre attraverso le strisce pedonali mi godo ogni singolo passo di una lenta camminata. Mi prendo il mio tempo, mi godo la strada.

Ho la fortuna di vivere nel barrio di San Telmo, questo significa che devo attraversare Plaza de Mayo e salutare la Casa Rosada, fulcro dell'amore, l'odio e tutte le contraddizioni di questo paese. Da quel balcone si è affacciata Evita, in questa piazza è nato il Peronismo, è qui che si riuniscono ogni giovedì las madres de Plaza de Mayo che per dieci volte girano attorno all'obelisco in segno di protesta. Dove sono i loro figli? Dove sono i desaparecidos?
Qui di riuniscono le nonne di Plaza de Mayo. Dove sono i lori nipoti? Strappati dalle braccia di madri violentate per essere poi affidati a famiglie di gerarchi e amici del regime.

La Casa Rosada, austera e composta, ricambia il mio saluto.
Sono sola in piazza e mi pianto per un attimo davanti a lei, non in segno di sfida, non oserei.
Semplicemente quel sentimento che lei stessa suscita, quell'amore ed odio profondo, è così potente che posso percepirlo a mia volta.

E non posso sorridere ma neanche arrabbiarmi.
Non mi resta che guardarla e pensare, in silenzio.

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