Ramadan Kareem
I tamburi dei musaharati riecheggiano in queste notti attraverso i vicoli bui
della città, destando i fedeli affinché consumino al più presto il sahur, l'ultimo pasto concesso prima del
digiuno.
Sono le 2:30 del mattino ed io mi affaccio alla finestra. Un ragazzo, seduto dietro ad un motorino che procede lentamente, suona un tamburo per le strade del quartiere. Ho impostato la sveglia ma talvolta questa antica tradizione è più che sufficiente per farmi aprire gli occhi. Il suono dei tamburi, potente ed ancestrale, mi fa viaggiare con la mente indietro nel tempo, dandomi quasi l'impressione di un richiamo alla battaglia: destati, è l'ora!
Scendo in cucina per prepararmi qualcosa di sostanzioso dato che non potrò né mangiare, né bere prima delle 19:30 della sera. Non ho fame, il mio corpo deve ancora abituarsi a questi pasti mattutini ma mi hanno riferito che la prima e l'ultima settimana sono le più difficili da affrontare, per cui mi sforzo di mangiare, seguendo i saggi consigli di coloro che seguono il Ramadan ormai da anni. Faccio tostare a fuoco basso una fetta di pane su cui adagio una generosa quantità di avocado mentre l'acqua del pentolino nel quale ho immerso un uovo bolle scoppiettante, sbuccio una mela che taglio in quattro spicchi e mi verso del succo all'arancia in un elegante bicchiere di vetro trasparente. Trasporto in un vassoio la mia colazione fino al cortile della nostra abitazione per godermi il risveglio della città.
Le notti di Ramadan sono il momento che
preferisco. Durante il giorno, sotto il sole cocente, la città rallenta
improvvisamente, le persone camminano a passo cadenzato per la strada e parlano
a bassa voce per preservare le energie. Ma la notte, all'ora del sahur, le luci delle case si accendono e
dalle finestre proviene uno sferragliare di piatti misto a risa, mentre l'odore
delle spezie e dei simit appena
sfornati si propaga nell'aria. Cerco di consumare il mio pasto lentamente,
assaporando ogni morso e bevendo l'acqua a piccoli sorsi mentre mi interrogo
sul significato di ciò che sto sperimentando.
Molte persone in questi giorni, nell'apprendere che stavo praticando il Ramadan, mi hanno domandato tra lo stupito ed il perplesso il perché. Alcuni hanno azzardato il mio essere musulmana, anche se la mancanza nel mio vestiario dell'hijab rende chiaro agli occhi dei miei interlocutori che non lo sono.
Perché sto digiunando?
Il Ramadan è qualcosa che volevo sperimentare da tempo, mettendo da parte i benefici o i danni fisici che questa pratica può arrecare, di cui poco mi interesso. Ho scelto di digiunare spinta dalla curiosità e dalla voglia di immergermi totalmente nella cultura religiosa che mi circonda, ovvero quella islamica, che mi affascina e che amo profondamente. Mossa dalla convinzione che non avrei potuto né giudicare, né comprendere appieno fino a che non avessi sperimentato sulla mia pelle.
E' una risposta semplice, credo, eppure, il fatto che una occidentale cerchi di
oltrepassare, a suo modo, quella cortina di pregiudizio e sospetto che oggi giorno si
cela intorno all'Islam, li riempie di una gioia per me inaspettata. Le persone
mi abbracciano e mi sorridono felici salutandomi con le parole Allah kabul etsin, che Dio possa
accettare il tuo digiuno.
Un ragazzo ieri mi ha abbracciato esprimendomi il suo rammarico e la sua tristezza verso un occidente che teme i musulmani tutti, senza distinzione alcuna: quando parlo con queste persone vorrei che conoscessero te. Non posso negare che queste parole siano state uno dei più bei regali mai ricevuti.
Adesso
quando i miei amici musulmani mi vedono mi chiedono se sto ancora digiunando,
fanno il tifo per me e scherzano chiamandomi "la 50% cristiana, 50%
musulmana" e sebbene io non mi senta né l'una, né l'altra, tento ogni
giorno di sconfiggere la paura dell'altro a modo mio.
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