Lezioni apprese: perchè un mulo è meglio di un cavallo


G., membro del Consiglio Interno della Comunidad de Paz de San José de Apartadó, mi spiega che un mulo è meglio di un cavallo per scalare i sentieri di montagna: “certo, un cavallo può sembrare più elegante, ma è un mulo che vorrai per salire in cima al monte”. Mi fido ciecamente delle parole di G., è il mio primo accompagnamento e la mia anima palpita felice come fosse Natale. La voce acuta e risonante di G. mi fa sorridere mentre cavalco l'asino di PBI[1], el Macho. Avevamo raggiunto un consenso per cambiare il nome del nostro mulo, accudito dalla Comunità di Pace, in “Choco”. Tuttavia, il Macho è un animale grande e possente, che all'inizio può incutere un po' di timore, e il suo nome si adatta bene alla sua stazza. Ecco perché tutti continuiamo a chiamarlo affettuosamente “il Macho”.

Intuisco quasi subito che Macho è una bestia intelligente e nervosa, che preferisce il passo svelto al passo cadenzato degli altri asini un po' pigri, e che non ama mettere le zampe nelle pozzanghere, che cerca di evitare camminando su percorsi alternativi. Ci capiamo subito, anche a me il fango non piace e vorrei accelerare il passo spronandolo al galoppo. Tuttavia, devo seguire il protocollo e rispettare la fila della carovana che avanza lentamente lungo il sentiero, tenendo sempre d'occhio sia la mia collega, che i membri del Consiglio Interno che stiamo accompagnando (figura 1 e 2). Abbiamo davanti a noi sei ore di cammino e le bestie non devono stancarsi troppo all'inizio, sono loro difatti che trasportano tutti i nostri zaini e il cibo per i prossimi sei giorni. G. mi aveva spiegato che anche per questa ragione il mulo è meglio del cavallo, è un animale più adatto al lavoro, che può portare fino a 120-150 kg. “Qual è l'altro motivo?”, avevo chiesto piena di curiosità, “vedrai”, mi aveva risposto G. con il suo sorriso allegro.

1. La carovana.


2. A. in primo piano verso il fondo della carovana. 

Più ci addentriamo nelle montagne, più il percorso diventa tortuoso. Sentieri di campagna ben battuti lasciano il posto a stretti tunnel fangosi dove le bestie arrancano a fatica. Le strade di montagna sono coperte da una fitta vegetazione e difficilmente il sole le asciuga a sufficienza. A metà mattinata, nubi scure cariche di pioggia si stagliano all'orizzonte, avvicinandosi veloci e minacciose. Qualcuno della carovana grida: llega! (arriva!). All'improvviso, un muro d'acqua ci investe con tutta la sua forza monsonica. Le persone gridano divertite mentre si affrettano a indossare gli impermeabili. Mi rendo conto di aver dimenticato il mio dentro uno dei sacchi trasportati da un mulo ma non possiamo fermarci adesso. Avrei dovuto metterlo sotto la sella come la mia collega, penso. C'è poco da fare, mi rassegno e in pochi minuti sono bagnata fino al midollo (figura 3). L'acqua si trasforma presto in ruscelli che corrono veloci lungo i sentieri, infangando il terreno ancora di più. Ed è in questa circostanza che apprendo la mia seconda lezione sulle qualità dei muli.

All'inizio di una ripida discesa, sgrano gli occhi: piove a dirotto e il sentiero, oltre ad essere vertiginosamente scosceso, è una marmaglia di fango, acqua e rocce. Come faranno i muli, con il peso che trasportano, a non cadere? Al mio turno stringo le redini riponendo tutta la mia fiducia nel Macho, non posso fare altro. Ma il Macho non ha bisogno di direttive, mi accorgo subito che l'animale sa esattamente cosa fare. L'asino scende con cautela, mettendo con attenzione una zampa dietro l'altra e aspettando ad ogni passo che il mio peso sia ben distribuito sul suo corpo durante tutta la discesa, per non perdere l'equilibrio. Come ho osservato fare ad altri membri della Comunità, prendo coraggio e mi inclino un po' indietro con la schiena, in modo che il mio peso non sovraccarichi le zampe anteriori del Macho. M. ride indicandomi: “Margherita sembra già una contadina che cavalca!”. Terminata la discesa, sorrido tra me e me per il complimento appena ricevuto.

3. La mia collega con l'impermiabile.

Mentre mi rilasso, aspettando che tutti termino la discesa, noto E., un ragazzo della Comunità cavalcare un bellissimo cavallo nero. È un animale elegante, più snello e slanciato degli asini che compongono la carovana. Durante la discesa il cavallo è visibilmente agitato: i suoi occhi sono spalancati; le narici dilatate; dai suoi denti, serrati sul morso, fuoriesce una schiuma biancastra che comincia a colare copiosa attorno alla bocca. Per non cadere, il cavallo comincia a muovere le zampe convulsamente, in preda al panico. E. mantiene il controllo dell'animale con grande abilità, impartendo comandi attraverso le redini e colpi decisi di tallone. Mi rendo conto che in una situazione del genere, in cima ad un cavallo, sono gli uomini o le donne a fare la differenza, non l'animale. G. mi si avvicina con aria soddisfatta: “Hai visto? Gli asini sono più robusti dei cavalli, è la loro maggiore forza e il baricentro più basso che permette loro di mantenere meglio l'equilibrio. Inoltre, i cavalli sono animali fatti per correre, sulle strade di montagna diventano irrequieti e si stancano prima”. Accarezzo il collo corpulento del Macho, annuendo con la testa. Ho l'impressione di aver imparato una lezione importante, rilevante per il contesto in cui mi trovo.

Finalmente la pioggia si dirada e il nostro viaggio prosegue verso la sommità di una collina, nel territorio chiamato las Nieves. Il “filo” è la parola con cui i contadini si riferiscono alla cima di una collina, o di una montagna. Percorrendo il territorio de las Nieves comprendo la ragione del suo curioso nome, in una regione così calda e umida. Las Nieves è caratterizzata da dolci pendii verdi, alte palme e una fitta coltre di nebbia che gli conferisce un aspetto vagamente mistico (figura 4 e 5). Il clima è fresco, quasi freddo. Una volta raggiunta la cima, facciamo una pausa, scendendo dalle bestie in modo che anche loro possano riposare. Sull’orizzonte si staglia il Golfo di Urabá, il panorama è impressionante. La luce che filtra dal cielo nuvoloso si riflette nelle acque del golfo creando un gioco di colori danzanti. Mi siedo su una roccia per ammirare il panorama, mentre la mia collega tira fuori il telefono satellitare, è ora di chiamare il team per informarli dell'andamento dell'accompagnamento. 

L., il membro più giovane del Consiglio Interno, si avvicina a me, accovacciandosi alla mia altezza: “guarda là”. Con il dito mi indica una direzione abbastanza distante. All'inizio non vedo niente di strano, finché non noto due teste che fanno capolino da una collina. Guardo L. perplessa perché non capisco: puntos[2], risponde. Mi volto bruscamente verso la collina, ma i due uomini sono già scomparsi. L. si allontana in direzione della mia collega, indicando lo stesso punto, mentre io assimilo le informazioni appena apprese. Il panorama non desta più in me stupore, al contrario, la sua bellezza mi pare adesso deturpata. I miei occhi scrutano l'orizzonte alla ricerca di segnali sospetti, ma non appare nulla, tutto rimane immutato. Rifletto sul fatto che devo ancora acquisire la capacità di prestare attenzione a questi dettagli e che un panorama attraente, nel contesto attuale, può rappresentare una distrazione che non posso permettermi. Io e la mia collega valutiamo la situazione e comunichiamo con lo staff prima di proseguire lungo il cammino.

4. Las Nieves

5. Sul "filo" de las Nieves

D'ora in poi il viaggio sarà più semplice. Le ripide strade di montagna sono per lo più finite e davanti a noi si stagliano dolci colline verdi e paesaggi aperti. All’ora di pranzo continuiamo a marciare, non possiamo fermarci, dal momento che dobbiamo sfruttare al massimo la luce del giorno. Appena scenderà il buio non rimarranno che le stelle a illuminare la notte. Ci rifocilleremo una volta arrivati. Nel pomeriggio gli animali accelerano il passo, conoscono la strada e sanno che si avvicina l’ora di un meritato riposo. Man mano che ci avviciniamo alla nostra meta, cominciano ad apparire fattorie, staccionate di legno e mandrie di bestiame. A., un altro membro del Consiglio Interno, scende improvvisamente da cavallo e si avvicina ad un albero, seguito da G. Per terra c'è un grosso frutto spinoso che non ho mai visto, l'interno, visibile attraverso una fessura, sembra viscido e di colore biancastro. "Non hai mai provato una guanabana?" chiede A. Io e la mia collega scendiamo dai muli. G. mi offre un pezzo di questo frutto che ricevo con gratitudine. Il sapore è succoso e all'interno ci sono grossi semi neri e lisci che prendo in mano. “Come si chiama questo frutto?” – chiedo - “Guabanaba…”. I miei compagni ridono di gusto della mia pronuncia sbagliata e rido anch'io (figura 6).

6. La guanabana.

Il nostro viaggio sta per giungere al termine, lo percepisco anche dall’andatura del Macho, che è più nervoso del solito. L’animale vorrebbe raggiungere la cima della carovana e affrettarsi verso la stalla. Ho un po' di difficoltà a fargli rispettare la nostra posizione, in fondo alla fila, dove si trovano anche la mia collega ed altre persone. Cerco di impartire comandi attraverso le redine, che strattono con forza nel tentativo di detenere il Macho. Ma cosa posso io contro la testardaggine di un mulo? All’improvviso il Macho, esasperato - e sospetto anche un po’ divertito - si lancia al galoppo in campo aperto. Non c’è niente che possa fare ormai. Serro le gambe attorno al suo torace possente mentre con le mani mi aggrappo forte alle briglie. Intorno a noi tutto è verde, il cielo sopra di me è azzurro e il vento mi scompiglia i capelli. Un sentimento di libertà e spensieratezza mi inebria, non posso fare a meno di trattenere un grido di contentezza e spavalderia, mentre con il Macho corro verso la fine del giorno e penso, tra me e me, che un mulo è meglio di un cavallo (figura 7).

7. Io e il Macho





[1] Peace Brigades International.

[2] Con il termine “puntos” ci si riferisce a persone, presumibilmente appartenenti a gruppi illegali armati, con il compito di vigilare e controllare il territorio.

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