Tutto fluisce ed io resto immobile

Le acque del fiume Ariari scorrono placide, come le lacrime di P.

La mia mano pesa come un macigno sulla sua spalla minuta. Tutto mi pare drammaticamente inappropriato, le parole superflue, il silenzio denso, le tazze di caffè sparpagliate sul tavolo e la mia dannata mano, che non riesco a far scivolare via dalla spalla di P. Sono come paralizzata e non riesco a fare nient'altro se non ascoltare. Dilato le narici in un gesto involontario nel tentativo di respirare più a fondo per non piangere, le mie lacrime sarebbero davvero un'infelice aggiunta nella lista delle "cose inappropriate". Solo la pioggia mi pare che abbia un senso in questo quadro desolato. Il sole non si azzarda a sbucare al di là delle nuvole, mi piace pensare che lo faccia per rispetto e che la natura che ci circonda cerchi di mostrare una forma di solidarietà tutta sua, adeguandosi al contesto. Così il fiume scorre, la pioggia cade e le lacrime di P. disegnano solchi sulle sue guance rugose: tutto fluisce ed io resto immobile.

La figlia di P., C., è scomparsa nel 2018 o, per essere più precisi, è una delle 80.472 vittime di desaparición forzada del conflitto in Colombia. C. avrebbe compiuto 30 anni ad agosto, racconta P., la mia età non posso fare a meno di pensare, e suo figlio avrebbe avuto 4 anni, perché quando C. è stata sequestrata era incinta di cinque mesi. C. è stata ritrovata solo grazie all’instancabile lotta di P., o per lo meno ciò che ne rimaneva: le unghie delle mani strappate, la pelle della pianta dei piedi scorticata, i molari rimossi, il cuoio capelluto tagliato via tramite scalpo. Violentata, incinta di cinque mesi.

Piange P., piange e racconta. I suoi ricordi rimbalzano sconnessi da una C. ancora bambina fino al giorno della sua scomparsa. Così P. narra di quel giorno in cui, tornata da scuola, C. le chiese se era brutta. Mi si stringe il cuore in una morsa, realizzo solo in quel preciso istante come dettagli adolescenziali, apparentemente insignificanti, che si dissolvono nelle menti adulte di noi figlie possano invece cimentarsi indelebilmente e dolorosamente nei ricordi di una madre. “Tu vales mucho C.”, è tutto ciò che P. le risponde e non ci sono parole che possano apparirmi più splendenti nella loro bellezza. Mi ritrovo a domandarmi se ho mai chiesto a mia madre se sono brutta. Sicuramente l’ho fatto, eppure non mi ricordo né il momento, né la risposta e questo mi ferisce. Perché non ho prestato attenzione? Perché adesso questi dettagli mi sembrano così importanti? Quali sono le parole di cui avrei dovuto fare tesoro e che ho lasciato svanire? Tu le ricordavi C., ricordavi le parole di tua madre?

P. mi mostra una foto, è l’entrata dell’ospedale del municipio dove vive, intitolato a sua figlia. “E’ opera mia” mi dice orgogliosa. Guardo attentamente la foto per alcuni minuti, scandendo una ad una nella mia mente le grandi lettere rosse che compongono il nome intero di C., affinché il suo ricordo non si riduca ad un mero numero nella mia memoria negli anni a venire.

Piange P. e dice di essere stanca, tremendamente stanca, di aver “medio vivido”, che le sarebbe piaciuto anche fare altro nella vita, che l’amore di una madre è infinito e che il dolore di una desaparación forzada è un fuoco che non si estingue mai e che consuma crudelmente.

P. batte con rabbia il pugno sul tavolo tra la lacrime e afferma di essere una guerriera e che reclamerà giustizia per sua figlia fino a quando avrà vita ed io le credo ciecamente. P. è una donna minuta e malata, la cui sofferenza ha scavato occhiaie profonde sotto gli occhi e disegnato una mappa di rughe sul viso. Eppure, non posso che sentirmi piccola e paralizzata di fianco a questa donna e provare un’ammirazione profonda e silenziosa per una forza che emerge prepotentemente nel bel mezzo del dolore.

Lentamente la pioggia si dirada e il cielo si schiarisce. La mia mano scivola via della spalla di P. e insieme fissiamo in silenzio i grandi tronchi trascinati dalla corrente. P. osserva impassibile che sembrano proprio come i corpi che a volte si vedovo galleggiare. Li osservo scivolare sotto il pelo dell’acqua mentre il fiume continua indisturbato il suo corso.

Tutto fluisce ed io resto immobile. 




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